Steve Jobs (Italian Edition)

 


Steve Jobs (Italian Edition)

Anno pubblicazione 2011


L’autore
Walter Isaacson

Walter Isaacson è stato caporedattore della rivista «Time», amministratore delegato e presidente della CNN. Attualmente è amministratore delegato dell’Aspen Institute. È autore di numerosi libri, tra cui: Kissinger. A Biography, Benjamin Franklin. An American Life, The Wise Men. Six Friends and The World They Made (con Evan Thomas) ed Einstein. La sua vita, il suo universo (Mondadori 2008).

Introduzione

Come è nato questo libro.

All’inizio dell’estate 2004, ricevetti una telefonata da parte di Steve Jobs. Nel corso degli anni era stato sempre molto cordiale con me, con saltuarie vampate di intensità, in particolare in occasione del lancio di un nuovo prodotto che desiderava vedere sulla copertina di «Time» o presentare alla CNN, per i quali all’epoca lavoravo. Ma da quando non ero più né nell’una né nell’altra redazione, lo sentivo più di rado. Parlammo un poco dell’Aspen Institute, in cui ero entrato di recente, e lo invitai a tenere un discorso al nostro campus estivo nel Colorado. Disse che sarebbe stato lieto di venire, ma non per salire sul palco. Voleva invece scambiare due chiacchiere con me nel corso di una passeggiata.

Mi sembrò una strana proposta. Non sapevo ancora che il suo modo preferito di dialogare con qualcuno fosse durante una lunga passeggiata. Venne fuori che voleva che fossi io a scrivere una sua biografia. Ne avevo da poco pubblicata una su Benjamin Franklin e ne stavo scrivendo un’altra su Albert Einstein, e istintivamente mi chiesi, un po’ per scherzo un po’ sul serio, se non si considerasse il naturale successore di quei due personaggi. Poiché ritenevo che fosse nel pieno di una carriera altalenante che avrebbe conosciuto ancora molti alti e bassi, esitai. Non adesso, gli dissi, tra dieci o vent’anni forse, quando andrà in pensione.

Lo conoscevo dal 1984, quando era venuto al Time-Life Building, a Manhattan, per pranzare con i redattori e decantare il suo nuovo Macintosh. Già allora si era mostrato irritabile, aveva aggredito un corrispondente di «Time» che a suo dire lo aveva ferito con un articolo fin troppo eloquente. Tuttavia, parlando con lui in seguito, fui affascinato, come molti altri lo sarebbero stati nel corso degli anni, dal suo potente carisma. Rimanemmo in contatto anche dopo che fu esautorato dalla Apple. Quando aveva qualcosa da lanciare, come un computer NeXT o un film Pixar, all’improvviso il raggio del suo fascino si concentrava di nuovo su di me e lui mi portava a un ristorante sushi di Lower Manhattan per spiegarmi come qualsiasi cosa di cui stava facendo propaganda fosse la migliore che avesse mai prodotto. Mi piaceva.

Quando tornò sul trono della Apple, lo mettemmo sulla copertina di «Time». Poco tempo dopo cominciò a propormi le sue idee per la serie di articoli che stavamo preparando sulle persone più influenti del secolo. Aveva lanciato la campagna «Think Different», dove comparivano proprio le immagini simbolo di alcuni dei personaggi che prendevamo in considerazione, e trovò affascinante il nostro tentativo di valutare l’importanza storica di ciascuno di loro.

Dopo avere declinato la proposta di scrivere una sua biografia, lo sentii solo saltuariamente. A un certo punto gli mandai un’e-mail per chiedergli se era vero, come mi aveva detto mia figlia, che il logo Apple era un omaggio ad Alan Turing, il pioniere britannico dell’informatica che decifrò i codici cifrati tedeschi durante la guerra e poi si suicidò morsicando una mela corretta al cianuro. Rispose che gli sarebbe piaciuto averci pensato, ma che così non era. Cominciammo in questo modo uno scambio di e-mail sulla storia iniziale della Apple, e presi ad annodare i fili del discorso nel caso avessi deciso un giorno di scrivere il famoso libro. Quando uscì la mia biografia di Einstein, Jobs venne a una presentazione a Palo Alto e mi prese in disparte per dirmi ancora una volta che lui sarebbe stato un buon argomento.

La sua insistenza mi sconcertava. Si sapeva che era molto geloso della privacy e non avevo motivo di credere che avesse mai letto alcuno dei miei libri. Forse un giorno, ripetei per l’ennesima volta. Ma nel 2009 sua moglie Laurene Powell mi disse molto chiaramente: «Se ha intenzione di scrivere un libro su Steve, sarà meglio lo faccia subito». Jobs aveva appena preso un secondo congedo per motivi di salute. Le confessai che, quando suo marito aveva ventilato per la prima volta l’idea della biografia, non sapevo fosse malato. Quasi nessuno lo sapeva, replicò: Jobs mi aveva telefonato poco prima di essere operato di cancro e, spiegò lei, continuava a tenere segrete le notizie sulla sua salute.

Decisi allora di scrivere il libro. Jobs mi stupì accettando subito di non avere alcun controllo su di esso, nemmeno il diritto di vederlo in anticipo. «È il suo libro» disse. «Non lo leggerò nemmeno.» Poi, in autunno, sembrò avere dei ripensamenti sulla sua collaborazione: benché io non lo sapessi, il cancro gli aveva causato un’altra serie di complicazioni. Smise di rispondere alle mie telefonate e per qualche tempo misi da parte il progetto.

In seguito, inaspettatamente, mi telefonò nel tardo pomeriggio del 31 dicembre 2009. Era a casa sua a Palo Alto, in compagnia soltanto della sorella, la scrittrice Mona Simpson. Sua moglie e i loro tre bambini si erano presi una breve vacanza sugli sci, ma lui non aveva potuto seguirli perché non si sentiva abbastanza in forze. Era in vena di riflessioni e parlò per più di un’ora. Ricordò che a dodici anni, deciso a costruire un frequenzimetro, aveva cercato nell’elenco telefonico il nome di Bill Hewlett, fondatore dell’HP, lo aveva chiamato e gli aveva chiesto i componenti. Disse che gli ultimi dodici anni della sua vita, da quando era tornato alla Apple, erano stati i più fecondi sotto il profilo della creazione di nuovi prodotti. Ma il suo obiettivo fondamentale era fare quello che avevano fatto Hewlett e il suo amico David Packard: dare vita a un’industria così intrisa di creatività e spirito innovativo da sopravvivere ai suoi fondatori.

«Da ragazzo mi ero sempre ritenuto un “letterato”, ma mi piaceva l’elettronica» disse. «Poi lessi che uno dei miei eroi, Edwin Land, l’inventore della Polaroid, aveva sottolineato l’importanza delle persone capaci di porsi all’intersezione tra discipline classiche e discipline scientifiche, e pensai che era proprio quello che desideravo fare io.» Era come se Jobs mi stesse suggerendo temi per la biografia (e, almeno in quel caso, il tema risultò essere valido). La creatività che nasce quando la duplice passione per il mondo umanistico e il mondo scientifico si combina in una forte personalità era l’argomento che più mi aveva interessato nelle mie biografie di Franklin e Einstein, e credo sarà un fattore chiave per generare economie innovative nel XXI secolo.

Chiesi a Jobs perché voleva fossi io a scrivere la sua biografia. «Credo che lei sia bravo a far parlare la gente» disse. Era una risposta inaspettata. Sapevo di dover intervistare decine e decine di persone che Jobs aveva licenziato, maltrattato, abbandonato o fatto in vari modi infuriare, e temevo non gli sarebbe tanto piaciuto che le facessi parlare. In effetti, in qualche caso si adombrò quando gli giunse voce sull’identità di chi stavo intervistando. Ma dopo un paio di mesi cominciò a incoraggiare tutti a parlare con me, perfino i nemici e le ex fidanzate. E non tentò di pormi dei veti. «Ho fatto tante cose di cui non sono fiero, come mettere incinta la mia ragazza quando avevo ventitré anni e poi comportarmi come mi sono comportato» disse. «Ma non ho nell’armadio nessuno scheletro che non si possa far uscire.»

Alla fine ho avuto con lui una quarantina di conversazioni. Alcune di esse sono stati colloqui formali nel suo soggiorno di Palo Alto, altre si sono svolte per telefono o durante lunghe passeggiate o viaggi in macchina. Nei diciotto mesi in cui gli ho fatto visita, ha acquisito sempre più confidenza con me e mi ha rivelato sempre più cose personali, anche se a volte ho avuto modo di osservare quello che i suoi colleghi di una vita alla Apple solevano chiamare il «campo di distorsione della realtà». In alcuni casi si è trattato dell’involontaria défaillance delle cellule delle memoria che colpisce noi tutti, in altri Jobs ha raccontato una sua personale versione della realtà sia a me sia a se stesso. Per verificare e integrare questa versione, ho intervistato oltre un centinaio di suoi amici, parenti, concorrenti, avversari e colleghi.

Nemmeno sua moglie Laurene, che ha contribuito a facilitare questo progetto, ha imposto restrizioni o controlli, né mi ha chiesto di vedere in anticipo quanto avrei pubblicato. Anzi, mi ha vivamente incoraggiato a parlare con franchezza anche dei punti deboli di suo marito e non solo di quelli di forza. È una delle persone più intelligenti e con i piedi per terra che abbia mai conosciuto. «Il fatto è che vi sono parti della sua vita e della sua personalità che sono terribilmente complicate» mi aveva detto in precedenza. «Non le nasconda. Steve è abile nel presentare le cose in una luce a lui favorevole, ma ha anche una storia straordinaria alle spalle e vorrei che fosse raccontata rispettando la verità.»

Lascio ai lettori valutare se sono riuscito in questo compito. Senza dubbio vi sono in questo dramma degli attori che ricorderanno alcuni eventi in maniera diversa o che penseranno che a volte io mi sia lasciato intrappolare nel campo di distorsione della realtà. Come accadde quando scrissi un libro su Henry Kissinger, che sotto alcuni aspetti fu un’eccellente preparazione per questo saggio, ho scoperto che la gente nutre per Jobs sentimenti così positivi o negativi che spesso ne è sortito un «effetto Rashōmon». Ma ho fatto del mio meglio per trovare un equilibrio tra versioni contrastanti ed essere trasparente riguardo alle fonti di cui mi sono servito.

Questo è un libro sulla vita segnata da alti e bassi e sulla personalità tormentosamente carismatica di un imprenditore creativo, la cui passione per la perfezione e il cui carisma feroce hanno rivoluzionato sei settori di attività: personal computer, cinema di animazione, musica, telefonia, tablet PC e editoria elettronica. Se ne potrebbe aggiungere anche un settimo, i punti vendita, che Jobs non ha del tutto rivoluzionato, ma ha decisamente riconfigurato. Inoltre, ha aperto la strada al nuovo mercato dei contenuti digitali basati sulle applicazioni anziché sui soli siti web. Nel corso del processo, ha creato non soltanto prodotti che hanno trasformato la vita della gente, ma anche, al suo secondo tentativo, un’azienda durevole che ha il suo DNA ed è piena di sviluppatori creativi e ingegneri audaci capaci di portare avanti la sua visione.

Questo è anche, spero, un libro sull’innovazione. Oggi che gli Stati Uniti cercano di mantenere la superiorità innovativa e le società di tutto il mondo si sforzano di costruire le economie creative dell’era digitale, Jobs appare come la suprema icona dell’inventiva, dell’immaginazione e dell’innovazione continua. Conscio di come il modo migliore di creare valore nel XXI secolo sia coniugare creatività e tecnologia, ha fondato un’azienda nella quale i voli pindarici dell’immaginazione si combinano con straordinarie imprese ingegneristiche. Lui e i suoi colleghi della Apple sono stati un esempio di think different, della capacità di pensare in modo diverso: non si sono limitati a sviluppare modesti progressi di prodotto basati sui focus group, ma hanno inventato nuovissimi apparecchi e servizi di cui i consumatori non sapevano ancora di avere bisogno.

Jobs non è stato né un capo né un uomo modello; non è stato la persona ideale da emulare. Trascinato dai suoi demoni, ha fatto infuriare e disperare chi gli stava vicino. Ma la sua personalità, le sue passioni e i suoi prodotti erano, come in fondo l’hardware e il software Apple, tutti strettamente interconnessi, come facessero parte di un sistema integrato. La sua storia ha quindi un valore sia istruttivo sia ammonitorio, è gravida di lezioni sull’innovazione, il carattere, la leadership e i principi.

L’Enrico V di Shakespeare, storia del caparbio e immaturo principe Hal che diventa un re collerico ma sensibile, crudele ma sentimentale, capace di ispirare ma anche di sbagliare, inizia con un’invocazione: «Oh, avere una Musa di fuoco che si elevasse al cielo più fulgido dell’immaginazione».2 Per il principe Hal era semplice: doveva affrontare il retaggio di un unico padre. Per Steve Jobs, l’ascesa al cielo più fulgido dell’immaginazione inizia con quattro genitori e con un’infanzia e un’adolescenza trascorse in una valle che stava imparando a trasformare il silicio in oro.

Video Recensioni del Libro.



Indice contenuti del Libro:

Copertina

L’immagine

Il libro

L’autore

Frontespizio

Steve Jobs

Personaggi

Introduzione

I. L’infanzia

II. La strana coppia

III. Il dropout

IV. L’Atari e l’India

V. L’Apple I

VI. L’Apple II

VII. Chrisann e Lisa

VIII. Xerox e Lisa

IX. Quotarsi in Borsa

X. Nasce il Mac

XI. Il campo di distorsione della realtà

XII. Il design

XIII. Costruire il Mac

XIV. Arriva Sculley

XV. Il lancio

XVI. Gates e Jobs

XVII. Icaro

XVIII. NeXT

XIX. La Pixar

XX. Un ragazzo qualunque

XXI. Toy Story

XXII. Il Secondo Avvento

XXIII. Il reintegro

XXIV. Think Different

XXV. Principi di design

XXVI. L’iMac

XXVII. Amministratore delegato

XXVIII. Gli Apple Store

XXIX. L’hub digitale

XXX. L’iTunes Store

XXXI. L’uomo della musica

XXXII. Gli amici della Pixar

XXXIII. I Mac del XXI secolo

XXXIV. Primo round

XXXV. L’iPhone

XXXVI. Secondo round

XXXVII. L’iPad

XXXVIII. Nuove battaglie

XXXIX. Verso l’infinito

XL. Terzo round

XLI. Il lascito

Epilogo

Rimandi

Note

Bibliografia

Fonti

Ringraziamenti

Crediti fotografici

Indice dei nomi

Inserto fotografico

Dal portfolio di Diane Walker

Dall’album di famiglia


Finito di leggere: Agosto 2020,  prima lettura.

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